"LA CASA DEGLI SGUARDI" DI DANIELE MENCARELLI: IL RACCONTO DI UN'ANIMA 'RIPARATA'


Daniele Mencarelli
"La casa degli sguardi"
(Mondadori)
pagg. 228
euro 19,00

La casa degli sguardi di Daniele Mencarelli non è un semplice libro: è una testimonianza di vita, il diario di un'anima bellissima che è stata però molto graffiata.
Un'anima che si rompe ma che riesce a ripararsi e, senza rinnegare ciò che è stato, re-incolla tutti i suoi frammenti e da cocci aguzzi si ricompone.
Daniele trova nel demone dell'alcol la "dimenticanza", l'oblio da un mal di vivere che sente, come diceva Antonia Pozzi, "per troppa vita che ho nel sangue", a pag. 10 infatti leggiamo: "Ma io non sono malato, sono vivo oltre misura, come una bestia più consapevole delle altre bestie".
Per troppa adesione alla realtà e per troppa paura di riuscire a viverla (la paura, il più peccaminoso dei peccati), Daniele inizia un processo di autodistruzione che però a un certo punto subisce una svolta.
Grazie all'amico e poeta Davide Rondoni, accetta un lavoro presso la Cooperativa di Pulizie (un lavoro umile, troppo spesso disdegnato dalla società a dispetto del grande e utile servizio che rende alla comunità) presso l'Ospedale Pediatrico "Bambino Gesù" di Roma.
Daniele sperimenta la fatica fisica, le difficoltà relazionali e poi… il dolore innocente, la contraddizione che si fa carne viva e bruciante dei bambini malati, che a volte non guariscono… che a volte muoiono. Binomi assurdi da accettare, perché un bambino dovrebbe solo giocare, ridere, non certamente soffrire.
Scrive in una sua poesia:
"Ed è da quando ti ho incontrato,
'Bambino Gesù', ospedale pediatrico,
che il pregarti quasi mi vergogna,
io come altra fortunosa umanità
a invocarti per la più vana delle miserie,
ignari di quanti nel pieno del supplizio
cerchino tua voce col poco fiato rimasto
o i tuoi lineamenti nel buio della stanza.
Se valgono questi versi una preghiera
dai giorni, anni, a questi uomini futuri,
ora bambini che forse non vedranno
la fine di questa sera di settembre".
Ma proprio il "Bambino Gesù" sarà la salvezza per Daniele: un luogo di grande sofferenza diventa per lui luogo di riparazione totale, di misericordiosa redenzione.
Lì, dove lui arriva con la volontà di devastare la propria esistenza, ecco proprio lì, attraverso la sofferenza infantile, prende la decisione, perché trova finalmente la consapevolezza delle proprie azioni, di smettere con la "dimenticanza" e di ricominciare con il fermo proposito di ricordare tutto ("Voglio ricordare tutto", così si conclude il libro).
Due sono le scene che stordiscono Daniele ma che lo tolgono dall'apnea sua esistenziale: l'incontro con Toctoc, il piccolo Alfredo (ancora riporto dei suoi versi: "Toctoc, Alfredo che un mattino / hai bussato per entrare / e dentro per sempre sei rimasto, / continua a farmi casa del tuo sguardo, / usami per restare vivo nel ricordo"); l'incontro con la suora (unico cenno religioso in un libro che trasuda di Dio, ma che mai lo cita direttamente (e quando lo fa, a pag. 132, lo accusa: "Tu, non noi, dovresti chiedere perdono"). A tal proposito Daniele ha dichiarato: "Mi definisco un aspirante credente, faccio mie le parole di un sacerdote che una volta ha detto 'Mi sveglio ogni mattina ateo e combatto per arrivare credente a sera'".
Dicevo, la suora. Una figura-chiave per lui, estremamente importante nel suo processo salvifico.
Un giorno in ospedale Daniele vede un bimbo di tre anni che, a parte la presenza degli occhi, non ha viso, perché il suo volta mostra solo "buchi di carne rossa" (pag. 183): lui distoglie gli occhi, non ce la fa (mi viene in mente "Wonder" di R.J. Palacio…), è stanco di vedere il dolore dappertutto, lo rifiuta, non si avvicina, si mette a fumare. Non guarda Daniele, ma sente… sente ad un certo punto la risata argentina del piccolo, perché la suora anziana, curva, gli sta facendo il solletico e se lo bacia tutto, strafregandosene del viso. La suora vede un essere umano e in ogni essere umano c'è Dio. Facile a dirsi. Davanti a queste persone, non so voi, ma io personalmente  chino gli occhi e sento solo una fortissima commozione che forse ha radici in una pietas che ci accomuna, noi tutti, qui sulla terra a urlare per sciocchezze e poi ammutoliti da gesti, da azioni enormi. In ogni caso in quell'istante Daniele capisce il "qui et ora", Dio che vive nella realtà e nell'incontro immediato con l'altro.
L'intuizione si fa pensiero profondo e inarrestabile via alla guarigione. Quando Daniele inizia a combattere, tornano anche le parole, vero coronamento per un uomo che nasce poeta.
"Sì", afferma Daniele, "il Bambino Gesù è stato anche una scuola di poetica".
E la sua poesia è impastata di parole che si fanno serve di "tutte le esperienze che ho visto, offrendosi nella loro povertà miracolosa…" (pag. 206).

Questo libro merita 9 matite, nessuna gomma, quindi un 9 pieno.
Per favore, leggetelo: è un arricchimento che non ha eguali.

P.S.: Fra un mesetto arriverà in libreria il secondo romanzo di Daniele Mencarelli che attendiamo con grande ansia. La casa degli sguardi è il primo di una trilogia: gli altri due testi saranno dei prequel, l'uno riguardante una sua settimana di ricovero coatto e l'altro un periodo della vita ancora più indietro nel tempo ("Quanta vita sto vivendo ritornando al mio passato"). Li attendiamo, Daniele. E grazie per il tuo metterti a nudo, per la tua autenticità, che ti fa essere di tutti.

Commenti

Post più popolari