Tolo Tolo… sòla sòla?


L’altro ieri sera mi sarebbe piaciuto essere ancora una giornalista del foglio locale della mia città per poter riportare tutti i commenti degli spettatori su “Tolo Tolo”, il nuovo film di Checco Zalone che non potevo non andare a vedere così come sta facendo l’oltre un milione di connazionali.
“Una cavolata pazzesca!”.
“È carino, dai”.
“Non sembra un film di Zalone”.
“È bellissimo, tutti lo dovrebbero vedere”.
“Io preferisco Sole a catinelle o Quo Vado”.
Di tutto e di più, tutto e il contrario di tutto.
Il mio consiglio principale è quello di andare a vedere “Tolo Tolo” come se fosse il film di un nuovo regista, giovane, impegnato, provocatorio e con un leggero senso dell’umorismo. Dimentichiamoci che in realtà il film sia diretto da Zalone e da lui interpretato. La pellicola non è così solida come le precedenti e non fa ridere: ci sono quattro o cinque situazioni divertenti, ma per il resto, rassegniamoci, non è un film umoristico. Il che ci fa davvero capire quanto forte e fuorviante possa essere la macchina del marketing. Saranno state presenti in sala frotte di adolescenti secondo me pronti a sbellicarsi e vogliosi di uscire per rifare il verso di qualcuno che batte i pugni sul tavolo per far finta di timbrare, per fare ginnastica sulla pompa di benzina o per suggerire alla  maestra di abbassare i voti al proprio figlio. No, questa volta, non rimarranno in mente scene così esilaranti, ma forse solo la canzone “Immigrato”, peraltro molto ben trasmessa da tutte le radio. E qui il primo dilemma: ma perché il trailer è così fuorviante? Nessuna scena del trailer appartiene al film, nessuna. Ci si aspetta un film girato in Italia, invece è praticamente tutto girato in Africa. Lo trovo scorretto.
Ma appunto, di che parla "Tolo Tolo"?
Storpiatura delle parole “Solo solo”, racconta di un italiano, superficiale, ignorante e arrogante, che pensa che in Italia dopotutto non si stia meglio che in Africa. Dopo aver indebitato l’intero parentado, Checco si reca a lavorare in un villaggio vacanze africano che viene assediato dai terroristi. Checco e il suo amico Oumar sono costretti a scappare e da clandestini fuggire per trovare rifugio in un Paese (speranzosamente non l’Italia, frustrata da tasse e burocrazia, ma magari nel favoloso Liechtenstein… sogno che non si avvera…) che li faccia vivere da esseri umani. Il film racconta questo viaggio.
È un film migliorabile e perfettibile, un po’ confuso, non rimarrà nella storia, il finale è uno dei più brutti che io ricordi, ma resto convinta che sia un film da vedere. Perché è attuale, perché ci spinge a guardare ostinatamente in direzioni verso le quali spesso volgiamo il capo. La risata c’è raramente e quando la fai ti senti quasi in colpa (ridere quando si parla della condizione di immigrati è di per sé un paradosso). L’umorismo qui viene sacrificato dall’urgenza della narrazione: il nostro Paese, interessato ai dané, alle tasse, all’Iva (nel film è un incubo), non si rende conto di come sia la situazione in Africa, dove gli abitanti non hanno di che mangiare, passano la giornata a pensare di non essere ammazzati e compiono traversate allucinanti per arrivare da noi che li odiamo e nella maggior parte dei casi li accogliamo con cartelli razzisti. Il mood è troppo leggero? È a volte politicamente scorretto? Non è sovranista? È troppo buonista? Chi se ne importa. Se alla fine almeno uno di quei tanti adolescenti che ho visto in sala ripenserà nei giorni successivi a un momento del film, i soldi del biglietto saranno ampiamente ricompensati.
E voi che cosa ne pensate? L'avete visto? Lo andrete a vedere?
TATA



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