IL CORONAVIRUS MI STA INSEGNANDO… LA PIETAS






Di notte è più dura.
Il giorno, pur in reclusione forzata (ma in fondo diciamocelo: se si ha la grazia di star bene, esiste ben di peggio che stare nella propria casa, quando al di fuori si consuma un dramma impietoso…), la vita scorre in apparente normalità, cercando di trovare anche momenti di simpatia, soprattutto se si hanno ragazzini in casa ai quali, pur non nascondendo nulla, si deve sempre doverosamente un rassicurante sorriso.
Ma la notte, come ora mentre sto scrivendo, tutto mi si presenta nella sua sconcertante verità: la gente si sta ammalando a ritmi vertiginosi, la gente invade i reparti di terapia intensiva, la gente muore.
Mi riaffiorano precisi gli articoli letti durante il pomeriggio, le immagini ritornano alla retina, d'improvviso la mia mente, pur essendo tardi, ricorda nitidamente i numeri di una matematica che è disciplina così affascinante e in certi momenti così dura e troppo spietata.
Mi riempie di tenerezza la storia del pediatra che ha, maledetto destino, assistito a distanza alla nascita della figlia dalla moglie risultata positiva al Covid-19; mi spavento a ripensare alle camere mortuarie piene zeppe di salme; mi commuove il nostro arcivescovo Delpini che prega davanti alla Madonnina dei milanesi, ("la bela Madunina che te brilet de luntan… che te dominet Milan…"); piango e vorrei abbracciare l'infermiera che si assopisce all'alba sulla scrivania, fotografata dal suo primario.
È l'una ormai: chissà quante persone stanno lottando contro la morte, quante persone stanno lottando per mantenere in vita altri esseri umani, sconfiggendo la stanchezza, il sonno, la paura, temendo il contagio stesso. Ho sempre considerato eroi quotidiani due categorie professionali: i medici, tutti coloro che operano in campo sanitario che fanno della loro vita un dono per gli altri (il medico fa il medico non per raggiungere uno status sociale, ma solo per mission e questo è grandioso) e gli insegnanti, credendo da sempre nella forza della cultura come antidoto contro l'ignoranza, il pregiudizio, ogni forma di violenza. I fatti mi dicono che non mi sto sbagliando, con una moltitudine di medici in corsia (e una moltitudine di insegnanti che cercano di sostenere in ogni modo i loro ragazzi a distanza, quei ragazzi che li faranno disperare ma il cui schiamazzo, sono sicura, è ora per loro un silenzio più pesante e fastidioso da accettare). A loro mi inchino. A loro il mio plauso.
Sta atterrando un aereo dalla Cina con ricercatori che vogliono apportare il loro contributo esperienziale contro il Coronavirus qui da noi: un aereo che sconfigge le barriere, che porta collaborazione, che realizza quel sogno di solidarietà che la nostra Europa sembra vistosamente negare… la Bce oggi ha avuto un comportamento meschino, crudele nella persona della fredda Lagarde (quanto ci manca quel "whatever it takes…"), così offensiva nei confronti dell'Italia da smuovere perfino il nostro Presidente della Repubblica che, con una nota in serata, mi ha provocato la stessa pelle d'oca che mi viene ogni volta che ascolto l'inno di Mameli. Non tollero discorsi sui soldi, sul deficit, sulle Borse, quando nel mondo la gente sta morendo: per me quei discorsi non hanno più senso in circostanze così straordinarie ed eccezionali. Ma per me non hanno alcun senso anche le aziende che si ostinano a tenere aperti i cancelli, mettendo a disagio e in pericolo la salute dei propri dipendenti: aziende che non hanno una produzione per così dire primaria per quale ragione non chiudono? Può il profitto rendere così ciechi e sordi di fronte al pericolo della vita, l'unico grande dono che abbiamo?
Dobbiamo stare in casa: è l'unico modo che abbiamo per fermare il contagio e indirettamente aiutare e non vanificare gli estremi sforzi che stanno compiendo i medici.
Gli italiani sono un popolo un po' superficiale, un po' cazzaro, un po' inconcludente, ma riconosco che nel nostro dna c'è una creatività pazzesca e un'umanità pura che vengono fuori soprattutto nei momenti più difficili. L'abbiamo dimostrato tante volte nella storia. L'italiano è molto buono e molto solidale per natura. Io ne sono convinta.
È pandemia, dunque.
La paura che provo alla luce diventa angoscia sotto le stelle. Angoscia, perché stiamo combattendo contro un nemico invisibile e subdolo, che si può insinuare nelle pieghe delle nostre esistenze in ogni momento.
Scorre una lacrima, anche più di una, perché il pensiero va ai bimbi e ai vecchietti della mia famiglia, questi ultimi dai corpi così fragili per l'età, organismi già martoriati dai tanti farmaci contro patologie croniche.
Inutile andare a letto. Rimarrò qui accucciata sul mio divano a pensare. A pregare, perché forse ci è rimasto solo quello da fare.
L'altra mattina sono stata rapita in giardino da un bocciolo piccolo e delicato.
Mi aggrappo a quella immagine per recuperare un minimo di serenità e per difendermi un poco dai miei fantasmi.
Il tempo scorre, la natura fa il suo corso, quasi indifferente ai drammi degli uomini.
La primavera sta arrivando, i raggi, seppur ancor tiepidi del sole, risultano quasi sfacciati.
E quella gemma così impaziente  di sbocciare.
Così gravida di vita. Nonostante tutto.

Commenti

  1. Ti capisco, credo che ti capiamo tutti. Vivo da giorni in ansia per la mia famiglia, in oltrepò pavese, pregando che mia madre e mia sorella continuino a lavorare nel loro negozietto di alimentari senza che il morbo le sfiori. Pregando che non debbano mai vedere una terapia intensiva, tantomeno ora. Pregando che prendano sempre ogni possibile precauzione. Sono terrorizzata alla sola idea.
    Poi leggo il giornale e scopro che i medici cinesi, ora che potrebbero fermarsi a festeggiare la sconfitta della pandemia tra i loro confini, prendono invece un aereo e arrivano da noi carichi di respiratori ed esperienza per aiutarci. Aiutare noi, che fino a due mesi fa li trattavamo come lebbrosi. Che grande lezione ci hanno dato, alla faccia della Lagarde. Lezione di umanità, di fratellanza, di giustizia, di responsabilità. E allora spero, e mi vedo un domani riabbracciarti mentre mi lanci il solito "Ciao Emi!" da dietro al bancone e la Paola mi mette sotto al naso il mio solito muffin al cioccolato. Un abbraccio e coraggio!

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