"OLIVE KITTERIDGE" DI ELIZABETH STROUT: IL RITRATTO DI UN DONNONE SOPRA LE RIGHE


"Olive Kitteridge" è un romanzo sensazionale costruito in racconti: ogni capitolo narra una storia in cui sempre appare il personaggio di Olive. Man mano che procede la lettura si compone il puzzle della cittadina immaginaria di Crosby, nel Maine, con le sue famiglie, le sue storie, i suoi segreti e ovviamente risulta sempre più vivida la figura della protagonista.
Olive Kitteridge è un personaggio tratteggiato in modo magistrale. Io penso che il lettore la possa amare o odiare: con lei non ci possono essere mezze misure. In ogni caso, rimarrà indelebile nella propria mente.
Cercherò di delineare sinteticamente il carattere strepitoso di questa donna, ex insegnante di matematica al liceo, sposata con Henry, il farmacista della cittadina, con un figlio, Christopher.
Olive ha un bel caratteraccio. Sgrida parecchio il figlio, perché secondo lei non studia abbastanza, è pigro, non aiuta nelle faccende di casa.
È ironica, molto impegnata, sempre stanca, a volte scurrile, rabbiosa ma anche pronta a repentine e profonde risate. Suo padre si è suicidato quando lei era giovane e lei stessa si chiede spesso se dentro di sé abbia ereditato i geni della depressione.
Olive non ama le chiacchiere, preferisce la solitudine, non si fida degli amici. I suoi commenti sono sarcastici, taglienti, quasi mai politically correct.
Fisicamente è un donnone, alto, grosso, grande, imponente, goffo. Ha il colesterolo alle stelle e non fa esercizio fisico, ha problemi di cuore, ma lei pensa che sia solo "la sua anima che si sta logorando".
Eppure quando piange per la ragazza anoressica, quando piange come una bambina davanti alle Twin Towers, quando cerca di insegnare la vita e non solo la didattica ai suoi ragazzi, quando corre se qualcuno ha bisogno, quando spesso la benevolenza la assale, volendo augurare solo il bene e a tutti, ecco questi momenti sono gli spiragli di luce che fanno risplendere Olive alla grande. C'è in lei una sorta di purezza, di arcaicità, che fa fatica a emergere ma quando lo fa irrompe con potenza nelle vite degli altri.
A me piacciono le donne come Ollie. A piccole dosi, certo, ma mi mi piacciono e anche moltissimo. Sono scorbutiche, bisbetiche, cattivelle, ma hanno in genere una sana dose di umorismo (che salva la vita) e riescono ad essere vere amiche. Soprattutto nel momento del bisogno. Nella pesantezza delle loro azioni offrono leggerezza con il potere di sdrammatizzare le ansie… paradossale, eh? Eppure per me è così. Sono autentiche, rusticamente vere.
Potrei raccontare decine di episodi che la riguardano, ma non voglio, perché preferirei che voi godeste della bellezza originale di questo libro (scritto tra l'altro da una penna, Elizabeth Strout, precisa, elegante, con un innato amore verso le piante e i fiori…). Certo, ho degli episodi preferiti, come quello iniziale, in cui si racconta in modo quasi impercettibile e delicato l'interesse amorevole di Henry verso Denise oppure quello del matrimonio di Christopher, durante il quale Olive compie un gesto pazzesco, eppure foriero di tante motivazioni. Ne cito solo due, ma solo per urgenza di spazio.
In questo libro è notevole anche la figura del marito Henry, rispetto a lei così docile, paziente, buono come il pane. Henry vuole accontentare tutti, è un gran lavoratore, è timido, impacciato; agli scoppi d'ira di Olive, Henry si sente male quasi fisicamente, si sente soffocare, si sente l'anima intrappolata nel catrame. Sopporta la moglie, solo perché la ama profondamente e tutti i loro litigi svaniscono nel nulla. Henry gode dei piccoli piaceri quotidiani della vita, ama la semplicità. Ama i giovani: quando è a contatto con loro è come, scrive la Strout, "se un liquido dorato gli si riversasse dentro". La trovo un'immagine bellissima.

A "Olive Kitteridge" dò 10. Per me è così che un romanzo deve funzionare, è così che bisogna scrivere. Vi consiglio, inoltre, anche tutti gli altri romanzi della Strout, da "Amy e Isabelle" a "I ragazzi Burgess" a "Resta con me" e altri, tutti insomma. Ricordo ancora con emozione il giorno in cui la incontrai a Milano e mi autografò una delle 1130 copie in edizione numerata stampate appositamente da Einaudi di "Mi chiamo Lucy Barton". Gioia pura!

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